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Paolo Del Rosso

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Paolo Del Rosso (Firenze, 1505Firenze, 13 gennaio 1569) è stato un letterato e traduttore italiano.

Figlio di Pierozzo, appartenente a una famiglia fiorentina della borghesia artigianale, politicamente di idee repubblicane, nel 1530 al ritorno dei Medici fu bandito da Firenze.[1]

Rifugiatosi a Napoli, la sua preparazione militare gli permise di entrare al servizio di Anton Francesco Albizzi[2], importante fuoriuscito antimediceo, al seguito del quale partecipò alla battaglia di Montemurlo il 1º agosto 1537, che fu fatale al suo capitano, catturato e poi giustiziato.

Frontespizio della Fisica (1578)

Rimasto senza protettore, il Del Rosso iniziò la sua attività letteraria. È del 1544 l'opera a cui più di tutte è legato il suo nome: la prima traduzione italiana[3] delle Vite de dodici Cesari di Svetonio, stampata a Roma da Antonio Blado a spese di Francesco Priscianese, altro esule fiorentino.

A lui risale la celebre resa in italiano: Il dado è tratto, divenuta anch'essa proverbiale, della celeberrima frase cesariana: Alea iacta est.

(LA)

«Tunc Caesar […] "Iacta alea est", inquit.»

(IT)

«Allhora Cesare disse […] tratto è il dado.»

Nel 1545 a Napoli apparvero le Regole, osservanze et avvertenze sopra lo scrivere correttamente la lingua volgare toscana in prosa & in versi. Nel frattempo si era trasferito in Francia, dove già nel 1542-1543 era entrato in relazione con Leone Strozzi e dove eseguì la sua traduzione del De viris illustribus urbis Romae, allora attribuito a Plinio il Giovane, stampata da Gabriele Giolito de Ferrari a Venezia e contemporaneamente pubblicata anche da Guglielmo Rouillo a Lione nel 1546. Tra il 1546 e il 1552, al seguito dello Strozzi, il Del Rosso divenne cavaliere gerosolimitano e interruppe l'attività di scrittore per riprendere quella militare, viaggiando nel Mediterraneo e combattendo contro i Turchi.[1]

Nel luglio 1553 però il granduca Cosimo riuscì a ottenere dal papa Giulio III la sua consegna, cosicché il Dal Rosso fu condannato per cospirazione e rinchiuso nella torre di Pisa.[1] Durante la prigionia tradusse i Salmi di Davide, il De anima di Aristotele e ridusse in terza rima la Fisica dello stesso Aristotele: quest'ultima opera venne pubblicata postuma nel 1578 a Parigi a cura di lacopo Corbinelli. Nel gennaio 1566 impetrò finalmente la grazia dal granduca e nello stesso anno fu ammesso nell'Accademia Fiorentina.[1]

Morì a Firenze il 13 gennaio 1569 e fu sepolto nella chiesa di S. Marco.

  1. ^ a b c d Foà.
  2. ^ Alberto Merola, Anton Francesco Albizzi, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 2, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1960.
  3. ^ La precedente Vita di duodeci imperatori descritta per Suetonio nuovamente tradotta in volgare […], In Venetia, per Venturino di Roffinelli, 1539, spacciata per traduzione (anonima), è invece un rifacimento con molte omissioni del testo svetoniano.
  4. ^ Gaio Suetonio Tranquillo, Vita di Iulio Cesare, c. 13v-14r.

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