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Etere (divinità)

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Etere combatte contro un gigante con la testa leonina (particolare dell'altare di Zeus presso il Pergamon Museum di Berlino)

Etere (in greco antico: Αἰθήρ?, Aithḗr) è una divinità primigenia della religione e della mitologia greca.

È la potenza divina del cielo superiore e più puro della luminosità del giorno. Si tratta della divinità dell'aria superiore che solo gli Dei respirano, in contrapposizione all'aria respirata dai mortali (in greco antico: ἀήρ?, aḗr).

Esiodo nella sua Teogonia (v. 124-125) indica Etere come figlio di Erebo (Ἔρεβος, le Tenebre)[1] e Nyx (Nύξ, Notte),[2] e fratello di Emera (Ἠμἐρα, il Giorno)[3].

Per Acusilao[4] Erebo e Notte sono figli di Chaos e generano Eros, Etere e Metis (Μῆτις).

Igino, mitografo di lingua latina del II secolo d.C., nelle Fabulae [5] scrive che era figlio di Caligine (Tenebre) e di Caos. Da Giorno (Dies) [5] ebbe come figli la Terra e il Cielo (Caelum) e il Mare. Mentre dalla figlia Terra ebbe come discendenza: Dolore (Dolor), Inganno (Dolus), Ira, Lutto (Luctus), Menzogna (Mendacium), Giuramento (Iusiurandum), Vendetta (Ultio), Intemperanza (Intemperantia), Disputa (Altercatio), Dimenticanza (Obliuio), Ottusità (Socordia), Paura (Timor), Superbia, Incesto (Incestum), Battaglia (Pugna), Oceano (Oceanus), Temi, Tartaro (Tartarus), Ponto (Pontus), i Titani (Titanes) e le tre Furie (Furiae).

Etere nell'orfismo

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Una teogonia di stampo orfico, quella attribuita a Ieronimo e a Ellanico di datazione incerta[6] e che viene riportata nel modo più esauriente da Damascio[7] nel VI secolo d.C. Dall'acqua e dalla terra prese origine un serpente, il cui nome era Tempo/Chronos; a questo serpente era congiunta Ananke (Ἀνάγκη, Necessità) incorporea, per natura identica ad Adrastea, con le braccia aperte a contenere tutto il mondo. Etere umido è figlio di Tempo e fratello di Chaos senza limiti e di Erebo nebbioso; in questa triade Tempo genera l'uovo da cui nasce un essere dall'aspetto sia femminile che maschile: Protogono, anche chiamato Zeus o Pan.

Un'ulteriore teogonia orfica emerge dai Discorsi sacri[8], di cui diversi autori neoplatonici riportano alcuni passi attribuiti a Orfeo, ma probabilmente frutto di una rielaborazione di materiale arcaico avvenuta tra il I e il II secolo d.C.[9]. In questa teogonia, Tempo (Χρόνος, Chronos) genera Etere e quindi un chásma (baratro, χάσμα) grande che si estende qua e là[10]; poi il Tempo per mezzo di Etere forma un "Uovo d'argento".

Nella teologia

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Giamblico [11], che a sua volta segue Aristotele, lo considera relazionato alla sostanza immateriale di cui si compongono gli dèi.

  1. ^ Da intendere come il buio dell'Al di là, cfr. Arrighetti p. 293.
  2. ^ Da intendere come il buio di questo mondo, cfr. Arrighetti p. 293.
  3. ^ L'essere luminoso del Cielo o del Giorno, come l'essere tenebroso della Notte o di Erebo, non dipende essenzialmente dalla presenza o meno del Sole ma sono "pensati" come loro natura (Arrighetti, p.326; Cassanmagnago p.927). Per approfondimenti sul tema "tenebre-luce" in Esiodo cfr. Max Treu, Licht und Leuchtendes in der archaischen griechischen Poesie, StGen 18, 1965, 83-97; Dieter Bremer, Licht und Dunkel in der frûhgriechischen Dichtung. Interpretationen zur Vorgeschichte der Lichtmetaphysik. Bonn, Bouvier, 1976
  4. ^ FGrHist 2 F 6.
  5. ^ a b Praefatio.
  6. ^

    «Tale teogonia [...] è di cronologia assai incerta: contro l'opinione precedente (cf. per es. Zeller I I, 128-129) che la riteneva più tarda della teogonia rapsodica, si è poi affermata la tesi che vada datata tra la teogonia secondo Eudemo (Kern, Ziegler). E se realmente anche questo frammento si può accettare come sua testimonianza, si potrebbe collocarne la data fra il terzo secolo a.C. e il primo secolo d.C.»

  7. ^ De principis 123 bis
  8. ^ Riportati in Discorsi sacri in ventiquattro rapsodie; Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern; traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani, pp. 313-529.
  9. ^ Le religioni dei misteri (a cura di Paolo Scarpi). p. 629
  10. ^ Cfr. 66 Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern, p.329 e sgg..
  11. ^ De Mysteriis Aegyptiorum, I,7

Collegamenti esterni

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